Chi l’ha detto che il fallimento è solo una cosa negativa? Certo, se con questa parola si intende la chiusura di un’impresa a causa di un grave dissesto economico-finanziario, è difficile trovare elementi positivi. Se al termine “fallimento” diamo invece un’accezione meno grave, ovvero tutto ciò che non va secondo i piani e produce effetti inaspettati e indesiderati, allora il discorso cambia. In questo senso, fallire può essere un modo straordinario per imparare dai propri errori, trarre vantaggi e fare innovazione.
Per misurare ciò che un individuo o un’impresa possono apprendere dai propri fallimenti, la rivista economica americana Forbes ha messo a punto un singolare indicatore: il ROF (Return on Failure), ovvero il Ritorno sul fallimento. A differenza di altri indici fondamentali per la gestione di una società come il ROI (Return on Investment, cioè l’indice di redditività del capitale investito) e il ROE (Return on Equity, che misura la reddività del capitale proprio), il ROF non si basa su conti e numeri ma su un elemento intangibile come l’apprendimento.
Ecco come funziona. Bisogna eseguire 3 operazioni semplici, ma non necessariamente facili da mettere in pratica:
Identificare il fallimento (possono essere anche più di uno)
Analizzare i fallimenti identificati
Fare ripetuti esperimenti e creare degli schemi basati su tutte le “lezioni” apprese dai fallimenti
Se fosse un’equazione si potrebbe scrivere così: ROF = Identificazione del fallimento + Analisi del fallimento + Esperimenti ripetuti e Schematizzazioni
Ma vediamo nello specifico in cosa consiste ogni singola fase di questo particolare processo di apprendimento dagli sbagli.
Identificazione del fallimento
Durante questa operazione si deve individuare ciò che è andato storto, ciò che non ha funzionato. Sistemi e processi interni alle aziende possono sicuramente essere utili per ottenere questo tipo di informazioni e per condividerle con chi ha bisogno di saperle, sia nell’immediato che in futuro. E per i manager, le figure che in una società dovrebbero avere il compito di capire quali siano stati i risultati fallimentari, un apporto importante può giungere anche dai continui feedback di dipendenti, clienti e fornitori. Insomma, i metodi per identificare gli errori ci sono. Il problema è che la maggior parte delle imprese sono entità complesse che rendono difficile sia l’acquisizione che la condivisione delle informazioni. E c’è anche un altro limite: in molti casi, il fallimento non è proprio accettato culturalmente. Così, invece di concentrarsi con lucidità sugli sbagli commessi, si preferisce adottare un altro meccanismo, piuttosto controproducente: individuare i responsabili e dare loro la colpa. In questo modo, i fallimenti non generano nessun vantaggio.
Analisi del fallimento
In questo step non bisogna focalizzarsi su chi ha causato l’errore ma sullo scoprire il perché. Per esempio, se cade un aereo, gli esperti che indagano sulle dinamiche si concentrano su ogni singolo centimetro del luogo in cui è avvenuto l’incidente. Non rimproverano nessuno: il loro unico interesse è utilizzare un metodo obiettivo per discutere, analizzare e apprendere. Il suggerimento è quello di adottare un modello del genere. Anche se è più facile a dirsi che a farsi, è necessario essere obiettivi, senza il bisogno di individuare un colpevole o un capro espiatorio. Ciò che ostacola una serena analisi dei fallimenti è la tendenza a far prevalere i propri preconcetti, una trappola in cui cadono, senza neanche accorgersene, sia le organizzazioni che gli individui.
Esperimenti ripetuti e schematizzazioni
La terza fase consiste nel progettare degli esperimenti in cui testare e ridurre le variabili e creare una schematizzazione. Test del genere andrebbero fatti su tutti gli ambiti in cui si ritiene che possano prodursi degli errori: bisogna provare ciò che funziona e ciò che non funziona. Più si fanno esperimenti, più si impara. E di conseguenza, più ampie sono le possibilità di successo. I modi per condurre le sperimentazioni e schematizzarle, soprattutto a livello aziendale, sarebbero tante. Al giorno d’oggi durerebbero anche poco e non sarebbero costosi. Il problema è che non ci sono molte imprese equipaggiate per questo tipo di attività. E in genere, proprio a livello culturale, non si danno premi, incentivi e riconoscimenti a chi propone ricerche ed esperimenti. Sarebbe il caso di farlo: è il modo migliore per trovare dei modelli che consentano a tutti di imparare dai fallimenti e di capire come mettere in pratica ciò che si è appreso.